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Immagine del redattoreAssociazione Culturale La palma e l'ulivo

Il Seme della rinascita di Emilio Isgrò in una Palermo smarrita.

Accade a Palermo. Un progetto culturale forte nella sostanza, discreto nella forma, senza quell’eccesso di glamour che troppo spesso avvolge l’arte contemporanea e i suoi riti.

Non poteva che essere così se il protagonista era Emilio Isgrò da Barcellona di Sicilia, (autodefinizione) “perché – dice – non fa bene al mondo dell’arte mettere in campo delle star, delle soubrette, l’artista deve fare il suo lavoro con coscienza, dobbiamo ricostruire un tessuto di valori e in questo l’arte può aiutare”. Bene ha fatto la Fondazione Sicilia, per celebrare i suoi trent’anni di vita, a chiamare un Artista così grande, delicato, capace di esprimere forza dirompente nelle sue opere. Bene ha fatto ad acquisire alla propria collezione d’arte il Seme d’arancia su terra di Sicilia e a renderlo godibile a tutti senza biglietto d’ingresso collocandolo in permanenza nella strada che attraversa Palazzo Branciforte, riportata alla luce dal restauro di Gae Aulenti nel 2012, perché quel Palazzo la Fondazione lo acquistò e lo restituì alla città per “svolgere una funzione di polo aggregante del recupero urbanistico dell’antico Quartiere della Loggia, riprendendo e ridando centralità a una zona di Palermo ricca di bellezze e beni culturali, ma colpita dalle sciagure delle guerre e infestata da una qualità della vita sempre più degradata dall’abbandono civico e dall’incuria umana, per farne un fulcro di nuovi saperi”.

Il primo Seme d’Arancia Isgrò lo realizzò nel 1998, per la sua città natale, come opera simbolo in grado di rispecchiare la volontà di rinascita di una città vittima della disgrazia mafiosa. Dopo quel protoseme, altri ne ha realizzati negli anni successivi e oggi, anche a Palermo, traccia un segno di rinascita di straordinaria attualità perché Palermo è una città smarrita dove è difficile riannodare la trama culturale di un’epoca recente che ha visto, insieme a grandi realizzazioni, grandi incompiute perlopiù imputabili all’incapacità progettuale delle amministrazioni pubbliche. Ne sono uno specchio fedele i Cantieri culturali alla Zisa, brillante intuizione dell’epoca della cosiddetta Primavera di Palermo mai compiutamente realizzata, dove, emblematicamente, la Torre di Emilio Tadini, un altro Emilio grande Artista, versa in uno stato di degrado triste e mortificante dopo essere stata restaurata nel 2013 con la consulenza di uno dei più grandi tecnici del settore, Giuseppe Basile.






Perché accade questo? Perché le amministrazioni pubbliche siciliane non hanno voluto elaborare progetti di lungo respiro. Torino è uscita dalla crisi della Fiat con un piano strategico decennale di cui la cultura era parte fondamentale. Perché Palermo, quinta città d’Italia, non ha voluto farlo?

Senza strategia pubblica, la cultura diventa un ornamento e perde il suo ruolo di leva per la crescita delle generazioni future. Se la spesa per cultura, anche quando ingente, non diventa investimento non diventa motore per la crescita dei territori. Palermo nel 2018 ha speso 4 milioni di euro per Manifesta e 1 milione di euro per le iniziative di Capitale italiana della cultura e, obiettivamente, è difficile rintracciare quanto di permanente sia rimasto alla città dove oggi è difficile visitare il suo più importante Museo civico, la Galleria d’Arte Moderna, perchè l’impianto d’illuminazione è fuori uso. Investire e non spendere avrebbe significato pensarci nel 2018.

A Palermo, ugualmente, tante realtà private operano, producono cultura, si prendono cura del patrimonio. Le più piccole fanno fatica senza un’interlocuzione pubblica affidabile, le più grandi soffrono di un contesto generale fragile, ma esistono. Sono tante ma, solo per citarne alcune, oltre alla già citata Fondazione Sicilia, Palazzo Butera, il Museo delle Marionette, la Fondazione Merz, il Brass Group, il No Mafia Memorial, il Sicilia Queer Filmfest, l’Efebo d’Oro.

Tra pochi mesi cambiano le Amministrazioni di Palermo e della Regione. Saranno capaci di investire, oltre che spendere, i fondi del PNRR e della Programmazione europea 2021-2027? Senza le risorse umane competenti sarà difficile e al loro interno non ci sono. Avranno il buon senso di cercare all’esterno le professionalità di alto profilo necessarie?


Aprile 2022

Antonio Gerbino



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